Se si vuole avere un’idea di come stia cambiando l’Asia, credo che Hanoi sia uno dei posti ideali da dove partire. Camminando per le strette vie di Han Bo si ha la sensazione di essere in una partita di Street Figther, con Chun-Li (che poi è Cinese) pronta a saltare in strada dal retro di un negozio di volatili. Hanoi ha molto di Francia, qualcosa di Cina e anche un po’ di USA (nonostante Hanoi fosse la capitale del nemico Nord Vietnam). Ma soprattutto, Hanoi ha fame. Una fame buona, s’intenda. Ma pur sempre fame. Lo capisco quando decido di entrare nella bottega di un sarto locale attirato dall’insegna ‘’abiti su misura’’ a 150 USD.
La bottega è semplice ma pulita e dignitosa e all’ingresso mi riceve il sarto con la sua assistente. Il sarto, come insegnano i nostri maestri artigiani, non parla una parola di inglese. E per questo si fa affiancare da una giovane collaboratrice che invece è fluent. Scopro che oltre agli abiti fanno camicie su misura a 30 USD. Non ne ho bisogno, ma voglio provare l’esperienza e mi faccio prendere le misure. Fin qui tutto nella norma, anche se la gentilezza con cui mi trattano mi mette quasi in imbarazzo. La mia esperienza cambia marcia quando chiedo se è possibile ricevere le camicie entro domenica, avendo poi il volo di rientro il giorno successivo. Mi dicono che le camicie saranno pronte domani! (sono le 18 della sera di martedì). Accetto la sfida e chiedo informazioni su un abito. Il sarto mi mostra il libro delle stoffe e scopro che sono fatte a Como (ah, la cattiva globalizzazione). Per i tessuti comaschi, però, si paga un extra fee importante (circa 200 USD), ma ormai il gioco è aperto e mi faccio prendere le misure. Ok, me lo inviate a casa, vero? Chiedo ingenuamente. Domani alle 15 ti aspettiamo per provare l’abito. Ritiro domenica sera, entro le 20. Siamo aperti dalle 7, se vuoi passare prima. Ma se preferisce glielo spediamo a casa, in Europa, mi dice l’assistente. What?!
Non finisce qui. La gentile collaboratrice mi informa che se voglio mi può mandare via whatsapp le foto delle nuove stoffe quando arriveranno. Le mie misure le hanno già e il pagamento posso farlo attraverso Transferwise. Impossibile dire di no, quindi lascio i miei dati. Ed impossibile non uscire da quella bottega con un sorriso a metà tra lo stupefatto e il preoccupato. Stupefatto per la professionalità, la gentilezza e il servizio offertomi. Preoccupato perché dopo aver mangiato un’ottima pizza a Shanghai (fatta da pizzaioli local, altro che UNESCO), ora tocca agli abiti sartoriali made in Hanoi. It’s catching up baby! Direbbero gli esperti di economic development. Ma a me fa paura lo stesso. Fa paura perché penso all’abito che mi sono fatto fare a Treviso un anno fa. Abito sartoriale, stoffa italiana, etc. Attesa: 3 mesi (disclaimer: il sarto lavorava part time); costo: 800 euro. Domanda da consumatore pseudo razionale: per quale ragione dovrei usare ancora il suo servizio, quando posso avere per gli stessi soldi due abiti spediti a casa in due settimane? Fidatevi, la qualità dell’abito che ho provato qui è di fatto la stessa.
Mi direte che i sarti italiani non sono tutti così. Che ora ci sono le botteghe in rete, etc. etc. Che qui non hanno regole, lavorano anche di notte, etc. etc. Certo, è una possibilità. Ma non riesco a togliermi dalla testa lo zelo del sarto e della sua assistente. La gentile smania di farmi felice. E la lezione di customer service che, forse involontariamente, impartiscono al sarto italiano (solo cash, by the way). E penso, forse condizionato dalla densa storia recente che avvolge questo paese, di quanto sia (sia stato) pericoloso per l’uomo occidentale perseverare nell’esercizio delle proprie attività con la supponenza di chi crede che tanto alla fine questo mondo lo dominerà.
1 commento
Francesco · Giugno 1, 2019 alle 2:26 pm
Preziosa testimonianza di una Cina che cambia, grazie per la condivisione.
Questo articolo mi ha comunque lasciato con una sensazione di speranza per l’Italia e i per i nostri artigiani. (applicabile anche alle nostre pmi)
Provo a spiegarmi, se da una parte è vero e provato che la supponenza di certi personaggi è destinata a scemare, sotto il peso di una concorrenza globale preparata e affamata, dall’altra mi sembrano altrettanto chiari sia il cambiamento che le aree di miglioramento su cui i nostri artigiani devono investire.
Come trasmettere la consapevolezza di questa necessaria evoluzione ai diretti interessati? Bel tema, tra le varie idee potrebbe aiutare un programma di mobilità internazionale che porti i nostri artigiani in visita presso città e aree del mondo in forte ascesa?
Nel lungo periodo investirei su istruzione e contaminazione internazionale.