Questo è il primo post “a firma” di Pensiero Industriale. Ho chiesto a Giulio Buciuni e Vladi Finotto di poter raccontare una storia di vita vera perché l’economia reale esiste davvero, e non se la passa poi così bene.
In un mondo di unicorni, nessuno vuole essere impresa verrebbe da dire. Raró esiste da 5 anni, si tratta di un punto vendita fisico di alimentari e distillati rari ed esclusivi con e-commerce, che se la passa tutto sommato bene. Ripaga i propri costi, produce un po’ di utile. Un posizionamento oggi consolidato, un bilancio in attivo ed una strategia di forte omnicanalità. Per consolidare la patrimonializzazione del progetto, Marketing Arena (spa) acquisisce nel 2021 l’azienda e ne diventa titolare al 90%. La governance è affidata alla vecchia gestione, in continuità con la gestione aziendale (per approfondire).
Se di Raró raccontassimo l’idea di business ad una startup pizza, probabilmente riuscirebbe a raccogliere dei fondi, se non altro per il capitale relazionale di chi scrive. Ma rimane comunque la sensazione che nel circuito dei fondi di investimento un animale come Raró non abbia l’identikit per garantire quei moltiplicatori che fanno gola agli investitori (parliamo di x10, x15, x20). Insomma, Raró non è una startup sexy, almeno non nel suo attuale business model. Un canale di finanziamento alternativo diventa dunque il circuito bancario. E qui arriva il secondo problema.
La banca, nei primi mesi del 2022, incontra Raró per la concessione di un prestito di 35 mila euro garantito all’80% dallo stato. L’azienda possiede un magazzino di distillati rari oggi piuttosto importante, un po’ come gli affinatori di formaggi che danno a pegno le forme in invecchiamento, vi sarebbe addirittura la possibilità di valorizzare le bottiglie. Il finanziamento non può essere concesso se qualcuno non controfirma per il 100% della richiesta. Lo stato non usa obbligarsi in solido con altri umani quindi la banca non si sente sufficientemente garantita ne dallo stato, ne dai 2ML di fatturato di Marketing Arena con 20% di EBITDA. Vuole di più, vuole le firme.
Non ci interessa fare polemica sterile, di certo non qui. Ma questa fotografia pone tre domande di management che non possiamo ignorare:
1) Abbiamo davvero il compito come docenti, commercialisti e consulenti, di essere make up artist travestire da scale up anche la bottega che vende elettronica di consumo sotto casa con fatturato, dignità e abbastanza ritorni per impattare positivamente sull’economia reale?
2) Se l’efficienza del finanziamento privato per analisi, metriche, ritorni e rendimenti sta surclassando quella pubblica e bancaria, ha veramente senso chiedere a enti associativi e banche di distribuire il denaro del PNRR?
3) Come finanziare attività d’impresa che non rientrano nella categoria delle ‘high-potential startups‘ ma che necessitano tuttavia di capitale di rischio per creare prodotti, sviluppare canali commerciali o tutelare la propria innovazione?
Conosco le metriche, la trazione, gli oceani blu e rossi di mercato e credetemi, Raró non fallirà. Non possiamo però insegnare ai nostri figli che il modo per arrivare a un risultato deve passare per la minaccia di cambiare tavolo, o la rubrica che contiene il nome di un direttore amico o lo schieramento di competenze altre per ottenere una cosa che dovrebbe essere il volano minimo per le aziende. Come a carnevale, ci vestiremo da startup, ma la preoccupazione di dialogare con una controparte inadeguata (stiamo parlando di una delle 3 banche più grandi del paese) è concreta. Serve un diverso impianto di fiducia, regolatorio e di distribuzione del denaro.
C’è una grande domanda finale sulla quale, promesso, faremo ricerca. Creare delle startup plugin con un tasso di innovazione alto in un settore consolidato (ad esempio la digitalizzazione del food di prossimità) ha davvero meno dignità strategica e di merito di credito del nuovo Facebook che, diciamocelo, in Italia non è nato mai?
Giorgio Soffiato
1 commento
Rita · Aprile 29, 2022 alle 8:53 pm
Niente di nuovo sotto il sole ☀️ ♀️