A Messina ha un lavoro un giovane su 5, ed ha smesso di cercarlo un giovane su 3. E mentre c’è chi pensa di restare al Sud, in Liguria ben più di un imprenditore possiede case, alberghi, appartamenti della nonna. Oltre ad essere un problema di distribuzione geografica della ricchezza, la crescente disuguaglianza in Italia è sempre più un problema generazionale. La situazione non è di semplice lettura e si articola in fitte relazioni familiari fatte di sussidi e investimenti non fruttiferi, di rapporti di dipendenza che intrecciano nonne e nipoti, aziende di famiglia e parenti in amministrazione.

Il risparmio privato italiano vale il PIL del Paese ed è un tesoretto da mal di testa per ogni economista o ministro del tesoro. Parliamo di quel risparmio nelle mani delle famiglie italiane che disincentiva il giovane a cercare un lavoro o a incrementare la propria produttività. Con o senza reddito di cittadinanza, la nonna la pasta sul piatto la mette lo stesso, ma soprattutto la nonna è vecchia, ed ha due appartamenti da lasciare all’adorato nipote, figlio unico. Sono 1300 euro al mese di rendite da affitti, le rate dell’auto si pagano con qualche ora di ripetizione in nero, o magari lavorando tutte le mattine al marketing dell’azienda di papà, che fa piastrelle e tutto sommato fattura 18 milioni, lo scorso anno 20, ma anche se la barca la cambiamo fra due anni chi se ne frega, a Jesolo si farà bella figura lo stesso.

Potremmo quasi chiamarli “capital intensive neet”. Persone autosufficienti che grazie agli old money decidono in coscienza di non dare il proprio apporto al mercato del lavoro, o meglio di lavorare con il freno a mano tirato per avere abbastanza, senza cercare il troppo. Fanno altro: leggono, fanno la patente nautica, riscoprono i classici greci, viaggiano. Parliamo di scelte consapevoli di persone che la conoscenza la masticano e lavorano. Come ci racconta sapientemente Luca Ricolfi, i “capital intensive neet” decidono di non lavorare perché sono troppo disincentivati, in senso economico, per farlo. Il rischio di una stagflazione del pensiero è davvero alto.

Insomma, stiamo perdendo una generazione, quella dei millennial e forse di chi verrà dopo di loro. Giovani legati a doppio filo a economie di sussistenza familiari che li tengono a bagnomaria in un limbo fatto di bassa produttività e scarsa fiducia nel futuro. Ci stiamo giocando tutti un pezzo del nostro futuro, consapevoli che il risparmio privato non durerà in eterno, almeno che non venga reinvestito in nuove attività economiche. Esiste una formula per rompere questo circolo vizioso? E da dove possiamo ripartire? A nostro avviso serve un mix fatto di visione di medio-lungo periodo e azioni mirate di breve periodo. In particolare:

  • Serve un’analisi dei contesti che hanno tenuto post COVID per estrarne una proposta formativa di lungo periodo che vada oltre il turismo per i neet sfiduciati. I pilastri portanti del nostro sistema industriale come il farmaceutico, la meccanica e la moda andrebbero integrati con percorsi ad hoc volti ad iniettare competenze tecnologico-digitali, di marketing e di gestione dei mercati globali nelle miriadi di aziende familiari sparse nel nostro paese;
  • In tal senso, serve inoltre articolare una proposta intelligente per dare senso agli old money ed ai loro gestori, più creativa e interessante di uno sconto fiscale per il rientro del denaro dall’estero. Serve creare le condizioni affinché coloro che detengono il risparmio privato italiano lo rimettano in circolo alimentando nuove attività d’impresa anziché sostenere il consumo dei propri figli e nipoti. I mini bond non hanno mai davvero funzionato, ma non possiamo fermarci qui. Vanno pensati strumenti alternativi;
  • La cerniera che unisce formazione e inserimento dei neet e investimenti degli old money dovrebbe essere giocato dal sistema di formazione universitaria e in particolare dai dipartimenti di business e economia aziendale del Paese (ne parleremo nelle prossime settimane).

Se il ruolo di cerniera è proprio dell’università, Il volano di trasmissione di questo schema industriale non può che essere rappresentato dalle imprese. Imprese che necessitano di nuove competenze (i giovani) e di capitale fresco (old money), ma che devono anche aprirsi a nuove forme di governo che vadano oltre la stanca parabola del capitalismo familiare.

Categorie: Pensieri

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