Seoul è lontana. Oggi più che mai. Ci siamo parlati noi di Pensiero Industriale e più di una volta abbiamo deciso di stare zitti di fronte alle accuse al running, alla passeggiata, al pattume buttato una volta di troppo. Ma è dietro il dito del runner che ci stiamo nascondendo, non vedendo che gli effetti del lockdown all’amatriciana sono drammatici e non ci danno tregua.
Sono tempi durissimi, e un buon tacer non fu mai scritto, ma un punto dobbiamo sottolinearlo. Ci scopriamo a informarci in modo nuovo, tra Kruger e Foresti su Facebook, quasi a misurare in share e like la loro autorevolezza, che ci appare però genuina. Abbiamo ripescato anche un post del Sydney Morning Herald che spiega come le varie nazioni stiano cercando di appiattire la curva. Perché il problema non è ammalarsi, non solo. È diventato dover scegliere chi non curare.
Le cose da dire sono molte, forse troppe. Ci sentiamo sopraffatti dalla quantità di inesattezze e sciocchezze che abbiamo sentito in questi giorni. Ma tacere, no, non può essere la soluzione. Specialmente mentre si assiste inermi a un Governo che prima sottovaluta un’emergenza sanitaria i cui contorni–vista la lezione cinese–potevano essere previsti e poi, a colpi di decreti, conferenze stampa e incertezze, crea la situazione peggiore: quella in cui, alla fine, si colpevolizzano i cittadini. Pensate al pandemonio insulso su chi fa jogging. I 500 morti al giorno non possono essere causati da qualche runner che esce di casa per un’ora. Fossero anche qualche migliaio. Mentre le fabbriche rimangono aperte, le metro si affollano a causa delle corse ridotte e i supermercati si riempiono perché la domenica ora devono essere chiusi (chissà poi perché). Non avremmo mai pensato di dover arrivare a rimarcare ciò che appare nulla più di una considerazione ovvia e lineare. Ma evidentemente di ovvio in giro non è rimasto più molto. E invece ci troviamo qui, ancora una volta, a fare i conti con il nostro innato bisogno di qualcuno da odiare (ieri il nero, oggi il runner, domani il tedesco cattivo e invidioso) e di un uomo forte che ci indichi la via. E ci fermiamo qui perché le analogie mettono i brividi.
Forse una spiegazione alla deriva sociale di questi giorni può essere spiegata attraverso una lettura psicologica del fenomeno in corso. Alcuni psicologi d’altra parte ce lo hanno detto: “occhio che non siamo abituati”. E non fa niente se il video virale coi cani arrostiti del mercato di Wuhan da dove “è partito tutto” probabilmente è girato in Indonesia. E non fa niente se le catene su Whatsapp dicono “quanto bello è essere italiano” in un mondo (Uk, Spagna, USA) che è arrivato in ritardo e se ne fotte se cantiamo l’inno dalle finestre di casa. Proprio no. Noi vogliamo essere Coreani, vogliamo che un sistema preventivo fatto di analisi e basi dati condivise sia a supporto del necessario lockdown. Il punto è proprio questo: il tanto celebrato modello italiano non sta funzionando: ad oggi il bilancio dice 5400 morti e privazione della conquista sociale più grande dell’ultimo secolo (la libertà), c’è davvero qualcosa che dobbiamo insegnare?
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