L’emergenza Corona Virus porta in dote una serie di entusiasmi praticamente unanimi su un tema caldo: lo smart working. Noi di Pensiero Industriale vogliamo proporre una riflessione figlia dell’esperienza diretta di chi lo smart working lo pratica, ma soprattutto lo concede ai propri dipendenti: lo smart working non è la cura definitiva per i problemi del lavoro moderno, e nemmeno la panacea per l’annoso problema della bassa produttività italiana, Le ragioni di questa presa di posizione? Almeno 3:

  1. Lo smart working ha un’efficacia direttamente proporzionale alla responsabilità delle persone. È persino banale “fottere” il capo lavorando in pigiama, ma non è questo il punto. Lavorare con il frigorifero dietro la sedia e il cane che scodinzola allegro tra le gambe può essere tanto piacevole quanto fuorviante
  2. Le motivazioni “ambientali” (in questo blog di Greta abbiamo già parlato) non possono non essere messe in relazione al valore generato da chi si mette al lavoro. Se risparmiare Co2 impatta negativamente sulla produttività, c’è un tema. Un meeting di qualità può risolvere cose che una Skype call non riesce a dirimere. Lo smart working è quindi tanto efficace quanto una riunione di persona, se questi momenti di confronto si alternano. Rischia di divenire invece alienante clausura se applicato in maniera quasi esclusiva
  3. La cultura aziendale e la visione si cementano spesso in momenti di relazione personale, più ci si sente parte di un tutto più si può eccellere nel lungo periodo. Non è un caso che a fianco alla crescita dei marketplace, negli ultimi anni molte fiere commerciali abbiamo aumentato il numero di espositori e visitor.

Non siamo e non saremo mai degli studi associati di free lance. I super senior possono lavorare dalle Bahamas ma le aziende strutturate no, non sempre almeno. Per questo motivo è fondamentale capire che i ROWO (result only working environment) hanno scontato e scontano una complessità crescente, che ha dimostrato l’indispensabilità di gerarchia e project manager.

Di seguito alcuni quote “dal campo”, di persone che lo smart working lo fanno da tempo:

Si, fare smart working è bello ma mi piace di più guardare in faccia le persone e parlarci live. Lo smart working è comodo. Mi rendo conto di riuscire a fare più cose a casa per conto mio, senza nessuno che mi interrompe, ma non vorrei farlo sempre e per sempre. Per me il confronto è essenziale. Magari in ufficio ci metto più tempo a fare una cosa, ma mi sembra che la possibilità di discutere con gli altri di quello che sto facendo mi faccia crescere di più e mi aiuti a farlo meglio.

È comodo perché riesco a fare più cose in meno tempo, quando devo lavorare in autonomia. Se devo collaborare con qualcuno o semplicemente avere uno scambio di idee, preferisco vedere le persone in faccia. Discutere su Skype o al telefono non è proprio la stessa cosa. Mi è capitato spesso di imparare cose mentre facevo due chiacchiere o mentre bevevo il caffè, e a casa questo tipo di dialogo non c’è. Personalmente, farei uno smart working in più a settimana ma non rinuncerei mai completamente al lavoro in ufficio.

Se potessi lavorare da un bunker lo farei.

Io vado un po’ contro corrente, ma lo Smart working lo pratico già dal 2006 (ero a casa 2 gg a settimana) e per me è di vitale importanza se devo portare a terra idee creative senza avere disturbi attorno, lavoro molto di più e resto focalizzata sul task, soprattutto in fase di concept. Poi le riunioni ci stanno ma possono essere gestire tranquillamente da remoto. Questo il mio pensiero.

I paladini dello smart working 2020 dovrebbero ricordarsi che società come WordPress lavorano da anni in full remote, ma quello che non passa (ed onestamente ci sconcerta) è il concetto che si tratta di agglomerati di persone esperte, deputate per lo più a costruire ed assemblare mattoncini all’interno di processi consolidati e funzionanti.

Il processo però a volte viene costruito col prodotto, in contesti in cui il consulente ad esempio è costretto a costruire prima l’attrezzo, e poi riparare la macchina. È in questi contesti che lo smart working funziona fino ad un certo punto.. Sono i dipendenti stessi a dire “ma questo è lavoro?” O “ma passare tutto il giorno al telefono è così interessante?”. È su questi punti che ha senso lanciare un grido di allerta, se non di allarme. Non siamo di fronte ad una rivoluzione copernicana e soprattutto questa evoluzione ha come ogni cosa pro e contro. Non è però il paradiso dell’eden.

Quasi paradossalmente, lo smart working funziona o in assenza di gerarchia (un gruppo di persone di pari livello che si divide il lavoro perché parte di una medesima attività imprenditoriale) o in presenza di logiche gerarchiche chiare e definite (che però implicano che la parte di lavoro da portarsi a casa sia spesso di medio-basso valore aggiunto).

D’altra parte, perché le organizzazioni piatte hanno dimostrato di non funzionare del tutto?

Categorie: Pensieri

1 commento

Gianluigi Zarantonello · Marzo 1, 2020 alle 10:02 am

Ciao, condivido il fatto che in questi giorni si è fatto un gran parlare di Smart Working, anche se in realtà durante questa emergenza si tratta più che altro di home working. La cosa positiva della situazione è stata la comprensione che certi strumenti di collaborazione sono più preziosi di quello che si pensa normalmente e che si può gestire il lavoro anche con modalità diverse di una scrivania. La trasformazione digitale e di business però non vuol dire usare una video conferenza solo perché non c’è altro modo per una situazione contingente. Come ho scritto quasi due anni fa qui https://internetmanagerblog.com/2018/07/10/e-se-la-business-transformation-fosse-principalmente-un-fatto-di-lavorare-meglio-tutti-assieme/, è principalmente un fatto di lavorare meglio tutti assieme perché ci sono obiettivi comuni e una visione centrata sul cliente, con il fattore abilitante della tecnologia che da sola però al massimo si subisce ma non fa cambiare le cose.
A quel punto, se il tipo di attività lo permette, si può a volte lavorare da un contesto diverso dell’ufficio senza perdere focus ed efficacia. Viceversa, è solo emergenza e l’idea che le aziende hanno di dipendenti non concertati e che se ne approfittano per lavorare meno non è così lontana dalla realtà.

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